Archivio mensile:luglio 2013

Quando il processo non è più telematico

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La tanto attesa sospensione feriale si avvicina ma, prima di andare in ferie, non posso non divulgare una immagine che dallo scorso venerdì impazza sui social e nelle mailing list che si occupano di processo telematico.

La foto si commenta da se, ma è lecito porsi qualche domanda ovvero: “perché a Forlì il processo telematico non si può fare?”

La domanda è a risposta chiusa e le possibili risposte sono tre:

a)      Il giudice non ha il pc

b)      Il giudice non ha sul proprio pc la consolle del magistrato

c)      Il ministero non ha mai fatto dei corsi per insegnare al magistrato a visualizzare i ricorsi depositati per via telematica

Escludendo la A, in quanto il provvedimento è evidentemente dattiloscritto, pur se stampato in una situazione di “emergenza toner e tamburo” rimangono le risposte B e C, che portano in ogni caso ad una ulteriore domanda.

Presso il Tribunale di Forlì il decreto della DGSIA per l’invio degli atti telematici a valore legale è datato 16.5.2012. Si presuppone dunque che, la DGSIA, abbia accertato il funzionamento e l’avvenuta installazione degli applicativi idonei ad assicurare il funzionamento del PCT effettuando anche la prescritta attività di formazione.

Che è successo dunque in quel di Forlì e soprattutto riusciremo un giorno non troppo lontano a non leggere più provvedimenti del genere?

La risposta temo che si farà attendere, per adesso buone vacanze.

Nicola Gargano

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Quando il processo è telematico ma nessuno lo sa

Dopo storie di ordinaria cancelleria oggi raccontiamo un’altra storia a lieto fine. La storia del primo deposito telematico a valore effettuato dal sottoscritto presso il Tribunale di Bari. La storia inizia il 22 luglio alle ore 21 e si conclude questa mattina (23 luglio 2013) alle ore 13.30 con una piacevole chiacchierata con il personale di cancelleria del Tribunale di Bari.

Alle ore 21 avendo una memoria di replica in scadenza decidiamo di avvalerci per la prima volta della procedura telematica, attiva sul Tribunale di Bari dal 15 luglio scorso. Dopo aver creato con molta celerità la busta alle ore 21:07:01 dallo studio legale parte una PEC contenente la memoria di replica e, come allegato semplice la nota spese. Rispettivamente alle ore 21:07:05 e 21:07:09 giungono le ricevute di accettazione e consegna e con buona pace del sottoscritto alle 21:08:15,  un positivo esito dei controlli automatici mi consente di chiudere lo studio con la tranquillità di chi sa che, l’indomani, il cancelliere accetterà il deposito telematico evitandomi una inutile passeggiata in Tribunale.

Questa mattina invece nessuna risposta dalla cancelleria sino alle ore 11.30 e, alle ore 11.45, pur essendo sicuro di poter dare la mia memoria di replica per depositata, – ricordo infatti che il depositato telematico è costituito dalla ricevuta di avvenuta consegna che, nel mio caso, è giunta alle ore 21:07:09 del 23.7.2013 – decido di recarmi materialmente in cancelleria con gli atti cartacei pronti, confidando tuttavia in una pronta accettazione del telematico.

Con mia grande sorpresa all’ingresso della cancelleria scopro l’amara verità ovvero: “avvocato ma come si fa? Lo devo stampare?” a cui è seguita la mia forse meno scontata risposta: “non si preoccupi se vuole la aiuto io”.

Fu così che nel giro di pochi minuti la cancelleria si affollò di facce curiose e stranite allo stesso tempo, facce nelle quali si leggeva una sola domanda: “ma che state facendo”?

“stiamo accettando un atto telematico” rispondiamo in coro io, la cancelliera e il cancelliere smanettone chiamato in soccorso nel frattempo, ma arrivato quando il deposito era già stato accettato anche grazie al mio aiuto.

Dopo aver accettato il deposito iniziano a piovere sulla testa del sottoscritto mille domande. “Avvocato ma la nota spese dov’è?” e io “E’ allegata alla busta ma nei depositi che faccio su Milano l’ho sempre allegata così”, “ma no doveva fare un altro atto” risponde lei, “ma la nota spese non è un atto previsto come depositabile nel redattore” rispondo io.

Per farla breve, nel giro di pochi minuti inizia una piacevolissima chiacchierata sull’opportunità di creare delle prassi condivise tra avvocati, magistrati e cancellieri anche nel foro di Bari. Nel caso della nota spese, stamattina, la stessa è stata annotata come se fosse un deposito cartaceo, aimè, senza alcuna possibilità di creare un rimando al documento allegato alle repliche, mentre, l’altro cancelliere, sosteneva che, la stessa, andrebbe depositata come memoria generica e poi valorizzata come nota spese all’atto dell’accettazione.

Tante domande dunque ma prima fra tutte: a che punto siamo nella formazione lato cancellerie?

Stando all’esperienza di questa mattina ancora molto indietro ma, sicuramente, la buona volontà dei cancellieri che stamattina si sono prestati, prima ad ascoltare le mie dritte e dopo a lasciarsi andare in una piacevolissima chiacchierata sul PCT, fa ben sperare in un futuro roseo.

Fa ben sperare poi che, nel corso della chiacchierata, si è parlato di rilascio copie cartacee ed informatiche. A quanto pare, infatti, l’infrastruttura, sia lato PDA per l’avvocato e sia lato SICID per il cancelliere, è pronta, così come lo sono i pagamenti telematici per i diritti di copia, effettuabili sin da ora dal PST (http://pst.giustizia.it/PST/). Cosa manca? Forse tutto o forse niente, o meglio qualche decreto dirigenziale.

In compenso il 19 luglio è passato e, fortunatamente, quello che avevamo anticipato in questo articolo non si è avverato http://www.quandoilprocessoetelematico.it/quando-il-processo-e-psicopatico/ , una colossale marcia indietro o un giustificabile ritardo? Io come sempre spero nella prima ipotesi come sapete amo il lieto fine.

Nicola Gargano

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Storie di ordinaria cancelleria

A volte capita, in una giornata come tante, di recarsi in Tribunale per la normale attività di udienza e trovarsi a dover improvvisare lezioni di Processo Telematico, non certamente per puro diletto ma solo per poter ottenere una rimessione in termini.

Infatti, qualche settimana fa ho vissuto sulla mia pelle un episodio raccapricciante che poteva costare carissimo.

Telefonata in studio del collega di controparte: “Collega dove sei qui c’è il teste arrivato da Roma per l’udienza”. Risposta della segretaria: “quale udienza? A noi risulta ancora riservata”. Collega di controparte: “ma no é arrivata la PEC con lo scioglimento di riserva, l’ordinanza di ammissione prove é di febbraio e rinviava all’udienza di oggi per l’escussione dei testi”.

Non vi racconto il panico del momento, condito dalla quasi consapevolezza di essere decaduti dalla prova ma con un dubbio sullo sfondo. Possibile che ci sia sfuggito un biglietto di cancelleria in uno studio in cui le PEC vengono lette dai rispettivi avvocati, nonché dalla segretaria, nonché veicolate sulla mail tradizionale e sul punto di acceso?

La segretaria mi chiama trasmettendomi le stesse sensazioni di panico e, la prima cosa che faccio in udienza dopo aver mantenuto il necessario sangue freddo, é recarmi dalla cancelliera e chiedere di mostrarmi le ricevute della PEC che sosteneva di aver inviato.

La cosa che più mi ha colpito sono state proprio le parole della cancelliera. No, non c’è bisogno di controllare c’è la PEC, c’è il processo telematico, il biglietto di cancelleria non può non essere arrivato.

Dopo insistenze varie controlliamo sui terminali della cancelleria e troviamo il provvedimento scansionato. Per la cancelliera continuava ad essere tutto ok ma, quando le ho fatto notare che mancavano completamente le ricevute di accettazione consegna, si è dovuta arrendere all’evidenza. Quella pec, infatti,  non solo non era mai arrivata, ma non era neanche mai partita!

Morale della favola mancavano completamente le ricevute delle PEC ed evidentemente, il collega di controparte, avrà visto il provvedimento su polisweb sognandosi una PEC, mentre per il nostro studio c’è stato quel lieto fine chiamato rimessione in termini.

Inutile dire che ho fatto presente al personale della cancelleria che, per effettuare una comunicazione via PEC, non basta caricare il provvedimento sul SICID e premere il fatidico “bottone” che fa partire la comunicazione, ma occorre verificare le successive ricevute di avvenuta accettazione e consegna.

Quanto a noi avvocati, invece, è opportuno sottolineare, quanto sia frustante non poter controllare attraverso polisweb l’esito delle comunicazioni di cancelleria, con la aberrante conseguenza di non poter verificare la correttezza e la data di una comunicazione.

E’ bene ricordare infatti che laddove i termini processuali decorrano dalla data della comunicazione, gli stessi inizieranno a decorrere dalla data e ora riportata sulla ricevuta di avvenuta consegna della PEC al destinatario. Diventa dunque fondamentale rendere accessibili le predette ricevute agli avvocati, evitando inutili accessi in cancelleria che, peraltro, come nel caso di cui sopra, possono essere visti con diffidenza dal personale di cancelleria.

Nicola Gargano

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Quando il processo è psicopatico

Ieri condividevo sulla pagina facebook di questo blog (https://www.facebook.com/quandoilprocessoetelematico) un articolo di un altro blogger (http://www.processociviletelematico.eu/2013/07/atti-e-sentenze.html) sul concetto di originali e copie degli atti nell’era della telematica. Nell’era della telematica sostanzialmente non esiste più alcuna differenza tra l’originale e copia, o meglio esiste un unico documento originale riproducibile un numero infinito di volte e che non necessita di alcun tipo di asseverazione di conformità.

Nella pratica cerchiamo di analizzare quello che succede al giorno d’oggi nell’ufficio di un magistrato. Ad oggi i magistrati redigono le sentenze, ordinanze e decreti mediante strumenti informatici e, al momento di firmarle, possono percorrere due strade, ovvero stamparle e firmarle con firma autografa o, in alternativa, firmarle digitalmente mediante la consolle del magistrato.

L’articolo 15 del DM 44/2011, così come modificato dal D.M. 15.10.12 n. 209, prevede che:

1. L’atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, e’ depositato telematicamente nel fascicolo informatico.

2. In caso di atto formato da organo collegiale l’originale del provvedimento e’ sottoscritto con firma digitale anche dal presidente.

3. Quando l’atto e’ redatto dal cancelliere o dal segretario dell’ufficio giudiziario questi vi appone la propria firma digitale e ne effettua il deposito nel fascicolo informatico.

4. Se il provvedimento del magistrato e’ in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica nei formati previsti dalle specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34 «e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico, apponendovi la propria firma digitale» vi appone la sua firma digitale, ove previsto.

Nel primo caso viene dunque formato un file, firmato digitalmente, che viene depositato nel fascicolo informatico e costituisce a tutti gli effetti l’originalissimo della sentenza o del provvedimento.

In molti tribunali il caso previsto dal primo comma sta diventando la normalità, vista la evidente praticità del sistema, con il non trascurabile vantaggio del deposito della sentenza contestualmente alla firma.

Stando alla lettera dell’articolo 15, questo file viene depositato nel fascicolo informatico, fascicolo informatico di norma accessibile ai soggetti del processo mediante le rispettive consolle (magistrato e cancelliere) e punti di accesso (avvocati).

Quando il processo non era telematico la sentenza, invece, veniva depositata all’interno del fascicolo cartaceo accessibile agli avvocati, sia per estrarre copie uso studio (per le quali nella prassi di molti Tribunali non sono necessari diritti di copia), sia per estrarre copie conformi o esecutive (per le quali devono essere corrisposti diritti di copia), oppure semplicemente per visionarla senza estrarre alcuna copia.

Nel documento cartaceo, infatti, è possibile in maniera piuttosto agevole verificare la regolarità e la stessa esistenza della firma. Potremo quindi effettuare questa verifica semplicemente recandoci in tribunale per visualizzare l’originale del documento senza dover pagare alcun diritto di copia.  Nel documento informatico, invece, utilizzeremo un software che, attraverso una procedura di verifica, ci fornirà tutte le informazioni su quel certificato di firma digitale e potremo conoscere agevolmente la paternità, l’autenticità ed integrità del documento e della stessa firma.

Una sentenza  della Suprema Corte e precisamente la n. 17204, depositata il 21 luglio 2010, ha sancito che la sentenza non sottoscritta dal giudice è affetta da nullità assoluta ed insindacabile a meno che non sia stato inserito uno specifico riferimento all’impedimento del magistrato impossibilitato a firmare.

Diventa dunque fondamentale per l’avvocato poter accedere all’originalissimo della sentenza per verificare l’effettiva esistenza di quest’ultimo requisito.

Nel processo telematico, come si è detto, la sentenza firmata digitalmente viene inserita nel fascicolo informatico ed è (o quantomeno dovrebbe) essere accessibile, tanto alla cancelleria (che dovrà essere in grado di poter rilasciare copia cartacea certificando l’effettiva conformità ad un originale, in questo caso telematico), tanto all’avvocato mediante il proprio punto di accesso.

Nei convegni e nei corsi, ho sempre sottolineato l’importanza di verificare tutti gli atti del processo firmati digitalmente, confidando che, tale funzionalità di download dei provvedimenti del giudice nella loro versione originale firmata, fosse accessibile a tutti.

Scopro invece dall’articolo citato in premessa che il:  “documento depositato con firma digitale, o meglio ancora, la busta depositata, non è di per se accessibile ne dalla cancelleria, ne dai giudici, ne tramite il portale del ministero (il PST).”

In verità, tale dato di fatto, rappresenta solo una conferma su un sospetto confermatomi da più fonti, ma, la magra consolazione, è che i pdf visualizzati dai cancellieri e tramite PST, contengono una “coccardina” stampata su una banda laterale in formato testo, contenente una riproduzione grafica del certificato firma.

Sulla base del predetto file i cancellieri rilasciano dunque copie conformi ad un originale che non potranno mai visualizzare, mentre l’avvocato, pur potendo verificare la genuinità del documento originale firmato digitalmente dal giudice, non può ne notificarlo direttamente e ne stamparlo e certificarne la conformità ai sensi dell’art 23 del Codice dell’Amministrazione Digitale.

A titolo di esempio riportiamo il  secondo comma dell’articolo 643 del codice di procedura civile che, in ordine alla notificazione del decreto ingiuntivo, prevede che Il ricorso e il decreto sono notificati per copia autentica a norma degli articoli 137 e seguenti.

Sempre grazie al blogger citato in premessa, apprendo che “i documenti con firma digitale vanno reperiti o via web service in forma diretta o via PDA tra quelli che consentono un accesso completo alle informazioni disponibili in termini concreti e pratici dal lontano 2007 (a  fronte del servizio realizzato, ma, non applicato del 2004).”

Sarebbe dunque ora di estendere il servizio a tutti, in primis cancellieri e magistrati per consentire, soprattutto, ai primi di rilasciare copie realmente conformi.

E’ di oggi però la notizia di un orientamento diverso da parte della DGSIA, che ha diramato questa mattina il comunicato che si trascrive:

Si informa che l’operazione di Download Documento riportata al paragrafo 3.1 (Elenco consultazioni fascicolo informatico) della Documentazione Servizi Web v1.5 verrà modificata al fine di non consentire il download della copia originale del documento; si interverrà quindi sul parametro original. L’originale del documento informatico sarà disponibile quando verrà completato l’intervento relativo al rilascio telematico delle copie autentiche previo pagamento dei diritti dovuti.
Rimarrà pertanto unicamente la possibilità di scaricare la versione PDF del documento privo della (eventuale) firma digitale.
La modifica verrà rilasciata a breve e verrà installata sul territorio entro il 19 luglio prossimo.
Verrà inoltre aggiornata di conseguenza la suddetta documentazione.

Al di là delle evidenti confusioni tra i concetti di originali e copie in ambito informatico, che si riscontrano nel comunicato, ne consegue che, se questo provvedimento dovesse essere confermato, dal 19 luglio prossimo, il legittimo diritto dell’avvocato di accedere al fascicolo informatico senza oneri verrà sospeso a tempo indeterminato, ovvero fino a quando non si troverà un modo di far pagare un imprecisato diritto di copia.

Rimarranno infatti disponibili, gratuitamente e senza alcun pagamento di diritti di copia, solo le semplici versioni pdf dalle quali non sarà evidentemente possibile verificare la genuinità del documento, con la conseguenza di doverci “fidare” dei controlli automatici dei sistemi informatici del Ministero della Giustizia.

Peraltro è opportuno rilevare che, se le determinazioni della DGSIA dovessero permanere, verrebbe allo stato inibito l’accesso anche a tutti gli atti processuali inviati dagli avvocati telematici, con la aberrante conseguenza, di impedire all’avvocato avversario di verificare la genuinità degli atti di causa e della stessa procura alle liti.

Ebbene quest’ultimo elemento, non è certo di poco conto, poichè nelle aule di giustizia, le eccezioni sulla validità della procura alle liti sono all’ordine del giorno e, pensare che queste eccezioni potrebbero essere sostenute solo dietro pagamento di un diritto di copia, porterebbe senza alcun dubbio alla violazione dello stesso diritto alla difesa costituzionalmente garantito.

Va rilevato inoltre che, allo stato, la funzione di richiesta copie all’interno dei punti di accesso, pur essendo prevista sulla carta, non è mai stata attuata e, dal comunicato dellla DGSIA non si evince certo che la stessa sarà operativa dal 19 luglio.

Occorrerebbe dunque, prima di chiudere i rubinetti, pensare a tutelare le garanzie di chi, alla giustizia, si affida sperando di ottenerla e che, dal processo anche se civile, sia esso cartaceo o telematico, spesso dipendono conseguenze in grado di cambiare la vita delle parti in causa.

Occorrerebbe invece, più saggiamente, prevedere delle disposizioni di legge che chiariscano la possibilità o meno di notificare un provvedimento del giudice nel suo originale informatico, chiarendo quali possano essere le conseguenze giuridiche di una notifica di un file firmato da un magistrato in formato p7m e chiarire se e come, una eventuale notifica di questo atto, possa violare la normativa sui diritti di copia.

Il quest’ultimo caso, evidentemente, possedere un file in formato p7m del procedimento di un magistrato, significherebbe possedere un file che, seppur firmato digitalmente, non potrebbe essere portato a conoscenza della controparte senza prima aver subito una asseverazione da parte del cancelliere .

Si è detto infatti che ai tempi della telematica non ha più senso parlare di originali e di copie, ma, una fictio iuris che reintroduca i due concetti nel telematico, è evidentemente l’unica strada percorribile per tutelare le garanzie delle parti, nonchè per aggiungere un altro tassello importante alla informatizzazione della giustizia, ovvero il rilascio delle copie uso notifica per via telematica evitando inutili code innanzi alle porte delle cancellerie, oltre che sprechi di carta e inchiostro per effettuare fotocopie e apporre timbri. Ma tutto ciò è veramente così difficile? Io credo di noi e voi?

P.S: ringrazio per questo articolo l’amico Massimiliano Ponchio che, oltre a gestire questo spazio con la massima disponibilità, mi ha fornito preziose indicazioni per quelle precisazioni tecniche doverose.

Nicola Gargano

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